martedì 18 aprile 2017

La Laguna e il calcio moderno (perché il Venezia di Tacopina fallirà, di nuovo).

È inutile che mi nasconda: tra amici e conoscenti la quasi totalità di persone che conosco sa benissimo che il mio tifo per il Venezia è incondizionato.
Che vinca o che perda, come si direbbe nelle curve. Non mi importa che il Venezia sia in Serie D o in Lega Pro, potrebbe essere anche in Serie A, io lo seguirò sempre, anche idealmente, sebbene andare a vedere le partite a volte risulta complicato, ancorché vagamente impossibile, data la distanza. Roma-Venezia non è proprio una passeggiata, ecco.
Tuttavia, in questi giorni, le varie pagine social dedicate al calcio e alla Serie A che spesso vanno avanti a click-bait o cose simili, stanno facendo girare delle foto del Venezia che 'fu'. I lagunari non calcano i campi della Serie B da 12 anni. Un'eternità, se si pensa che dal 2005 non c'è pace in Laguna. Sembra una metafora da sfigati, tuttavia è proprio così.
Recoba in azione contro l'Inter - Venezia in Serie A

Un po' di storia

Nel 2005 viene fondata la SSC Venezia, fratelli Poletti consulibus, beneficiando del Lodo Petrucci e ripartendo dalla C2, l'allora quarta serie del calcio italiano. La fusione tra Venezia e Mestre, laguna e terraferma, si era già consumata da tempo, i colori che campeggiavano sulla maglia dei nostri erano già i mitici arancioneroverde, che da piccolo quando dicevo ai compagni di classe delle elementari che «i colori del Venezia erano certo più belli di quelli della Roma o della Lazio» mi intorcicavo la lingua a dire fluentemente arancioneroverde. Destando, ovviamente l'ilarità dei più. In ogni caso, la fusione era avvenuta da tempo e da quel dì non ci fu davvero mai serenità nella Serenissima. Sì, certo, la C2 venne conquistata in breve tempo, la permanenza in C1 fu tranquilla almeno per due stagioni, tuttavia in quella a cavallo tra il 2008 e il 2009 si consuma il fattaccio. 
O, meglio, il primo di una lunghissima serie.
La nuova Prima divisione non fu clemente con l'SSC Venezia che, arrivata 17°, aveva dovuto combattere fino all'ultima giornata dei playout: lottare per la sopravvivenza, praticamente.
Chi non si ricorda, a margine della gara pareggiata contro la Pro Sesto, della capriola di Ibekwe? (la domanda potrebbe anche risultare retorica, dato che l'episodio in questione corro il rischio di ricordarmelo solo io tra i non veneziani che, da bravo manico, mi andavo a refreshare il sito dell'allora SSC Venezia ogni 5 minuti).

Fu un'illusione, però, e durò poco. La permanenza nel professionismo dei lagunari venne minata del tutto quando l’SSC Venezia, sorto dalle ceneri dell’AC Venezia, fallì. Ne nacque una nuova società, l'FBC Unione Venezia la quale dovette ripartire dalla serie D. Iscritta in sovrannumero, peraltro, nel girone del nordest (il girone C). 

L’Unione Venezia si presentava ancora scarna alla prima apparizione ufficiale: né organico, né maglie ma, almeno, una certezza, Paolo Favaretto in panchina. La prima partita, dicevo, viene fatta con delle maglie della Lotto completamente bianche e lo stemma della casa costruttrice al posto del logo raffigurante il Leone di San Marco: iniziano a piovere critiche da subito, anche perché se non c’è la squadra, come possono esserci ancora le maglie?

L'FBC Unione Venezia alla sua prima apparizione in Serie D
L’unica certezza extra rosa sembra essere il Penzo, il vecchio stadio costruito a Fondamenta Sant’Elena secondo solo al Ferraris di Genova per longevità; all’interno degli undici gli unici a restare dalla Lega Pro sono Massimo Lotti, Simone Rigoni e Mattia Collauto, il capitano. A loro tre vengono affiancati dei ragazzi che avevano fatto parte delle giovanili del Venezia e altri atleti provenienti da squadre limitrofe; la prima apparizione in campionato dell’Unione Venezia vedeva la squadra così composta: Cavarzan; Bigoni, Nichele, Vianello, Cardin; Collauto, Segato, Di Prisco, Modolo; Ragusa, Corazza (‘quel’ Corazza che qualche anno fa era in forza al Novara in prestito dalla Sampdoria); nella panchina di mister Favaretto c’erano, poi, Lotti, Bivi, Rocchi, Rigoni, Volpato, Tessaro, Benedetti.

Tempi lontanissimi: Recoba e Maniero
festanti dopo un gol siglato dall'urugagio
La prima partita è una Caporetto: 4 a 1 contro il Montebelluna di Enrico Cunico (tecnico che guiderà la squadra l’anno successivo) e non molte possibilità d’appello. Seconda partita, seconda sconfitta, stavolta per 3 a 2 contro il Domegliara, tuttavia segnano Volpato e Nichele, i due che assieme a Collaudo trascineranno la squadra ben oltre le secche del campionato che si stava prospettando ad inizio stagione. La prima vittoria arriva alla quarta giornata: 5 a 3 contro la Virtus VeComp Verona, doppietta di Modolo e un gol a testa per Corazza, Tessaro e Collauto.

Da lì in poi ha inizio una storia continua di tira e molla fra Serie D e play-off, promozioni tra i professionisti sfumate per un soffio, emancipazioni dilettantistiche avvenute o meno ma soprattutto fallimenti.
Perché l'attuale Venezia FootballClub, allenato da Filippo Inzaghi e che è tornato in Serie B, non è il FBC Unione Venezia, ma un'altra società.
Altro giro altra corsa, altro campionato altro fallimento.
Le squadre di Venezia, però, da questo momento in poi, iniziano ad essere due. Due squadre, due nomi identici, colori diversi: una arancioneroverde e un'altra neroverde; Venezia Fc e Venezia 1907; Serie D e Terza Categoria. Due mondi diversissimi non solo calcisticamente ma anche ideologicamente: la prima società (a guida Joe Tacopina) si fa portavoce della squadra arancioneroverde, la seconda (a guida Gianalberto Scarpa Basteri) ha rilevato il simbolo del centenario del Venezia facendone una nuova squadra che riparta da zero ma che abbia come obiettivo primario quello della rivalutazione del Venezia che fu. Quello neroverde e dell'unica Coppa Italia del 1941, per intenderci.

Leggi di più: «Scarpa Basteri: il Venezia siamo noi»


Il presente

Tacopina sbarca in Laguna quando il Venezia è - di nuovo - in Serie D. Un altro fallimento, un altro cambio di nome, un altro cambio di società. La prima promessa che viene enunciata e declamata dallo statunitense è il nuovo stadio: il Venezia deve avere una nuova casa perché il Pier Luigi Penzo è uno «stadio bellissimo» ma non è «attrattivo». La solita solfa del logo-brand che nella Capitale «infiniti addusse lutti a Pallotta». Serve qualcosa di più moderno e, allora, si rispolvera la sempreverde idea dello stadio nel famigerato quadrante di Tessera proseguendo nella tradizione degli investitori stranieri degli ultimi anni che tendono a quella zona per la costruzione dell’impianto, (ipotesi mai concretizzatasi neanche nell’era Zamparini quando, in Serie A, la squadra della Laguna era ai suoi massimi). 

Il logo del Venezia Fc, per la verità, non è un granché e il merchandise arancioneroverde non va benissimo, così come - nonostante il campionato al vertice - non va neanche la partecipazione allo stadio dei tifosi. Inzaghi, nel marzo, infatti, ebbe a dire: «I tifosi sono la nostra forza, penso che la squadra abbia bisogno e meriti uno stadio pieno. [...] Mi auguro che il nostro stadio diventi il dodicesimo uomo in campo perché potrebbe aiutarci molto». Il problema, però, è che il dodicesimo uomo, spesso, è rimasto a casa e le frecciatine di Inzaghi non sono mai cessate per tutta la stagione. Tuttavia, la serie B è arrivata nonostante diverse questioni che hanno investito anche il Venezia FC, oltre a svariate squadre fra cui le due (fatiscenti) compagini romane quali Racing Roma e Lupa Roma. Trattasi dell'inchiesta fideiussioni iniziata dall'Espresso: «Da mesi decine di presidenti del pallone nostrano sono costretti a seguire da vicino le peripezie di una piccola compagnia di assicurazioni che viaggia sull'orlo del fallimento. La società in questione si chiama Gable, ha sede nel paradiso fiscale del Liechtenstein, e sta per trasformarsi nell'ennesimo scandalo del calcio italiano».

Scriveva nel settembre dello scorso anno Vittorio Malagutti sul settimanale sopracitato. Con il Nuovo Corriere Laziale siamo andati a controllare delle carte emesse dall'IVASS (Istituto Nazionale per la Vigilanza sulle Assicurazioni) e la Gable insurance risultava già fallita e commissariata. Dunque, le società coinvolte avrebbero dovuto trovare altri soldi per colmare quelli della fideiussione e tra i club coinvolti (oltre alle sopracitate fatiscenti Lupa e Racing) vi era anche il Venezia di Tacopina. 
A.C. Venezia in Serie A
La questione non è della pur famosa lana caprina si tratta della continuazione della vita societaria di una squadra che ha subìto, nel corso degli anni, decine di fallimenti e rilevamenti societari più o meno inadeguati alla piazza, fatto salvo il primo periodo a guida Rigoni (successivamente scomparso). La faccenda monetaria si fa tanto più presente quanto invadente nella vita lagunare arancioneroverde se si contano almeno tre fattori:
  1. La fideiussione da depositare per l'iscrizione in Serie B è più ingente di quella della Lega Pro (qui un comunicato chiarificatore della terza serie calcistica italiana per quel che riguarda i parametri e i costi della fideiussione). È bene ricordare, infatti, la vicenda del Pisa di Rino Gattuso che non è stata, per così dire, una passeggiata a tal proposito. Si potrà obiettare che la vicenda della crisi-pisana verteva su altre fratture oltre che quella del deposito di denaro in Federcalcio. Senza dubbio. Certo è che a quelle già esistenti si era sommata anche la questione della fideiussione.
  2. Questione Stadio - Il Quadrante di Tessera, dopo il niet ricevuto da più parti è decisamente un progetto del passato. Il Penzo, però, ha subìto diversi traumi nel corso degli anni: già dopo l'era-Zamparini (e, dunque, all'indomani del fallimento)  «la capienza dello stadio venne dapprima limitata a 9.950 posti e poi nel 2007 (dovendo ottemperare ai nuovi regolamenti sulla sicurezza) a 7.450 posti: in tale occasione si provvide infatti a ridurre le dimensioni delle curve e dei distinti». Ristrutturare il Penzo, però, costicchia.
  3. Questione visibilità - Il Venezia in Lega Pro non ha visto una grande partecipazione dei tifosi (come prima menzionato) ma c'è una squadra che ha avuto un incremento di seguito e successi notevole: trattasi dell'A.C. Mestre. La squadra arancionera, sorta da un'abile mossa da parte di tre realtà locali, ora slanciatissima verso una storica (questa sì) promozione in Lega Pro. La diaspora mestrina, a seguito dell’unione Venezia-Mestre, è stata interrotta dall’iniziativa dell’FBC Union Pro (unione di società Pro Mogliano e Preganziol) che nel giugno dello scorso ha spostato la propria sede a Mestre e ha cambiato denominazione in SSD AC Mestre mentre la precedente squadra arancionera, salita in Promozione, si era trasferita a Spinea diventando l’FBC Spinea 1966. Ecco, a tal proposito, il comunicato che diramò l'Union Pro Mogliano a riguardo: «L’AC MESTRE, società nata dalla fusione tra Mestre e Mestrina, giocherà il campionato di serie D 2015/16 presso lo stadio Comunale di Mogliano in attesa del ripristino dello Stadio Baracca di Mestre (che nel frattempo sta utilizzando) I campi di allenamento della prima squadra saranno quelli di Zelarino e di Mestre. Il Settore Giovanile della AC Mestre giocherà invece nei campi di Zelarino, Giacomello e Bacci. L’FC UNION PRO disputerà le partite di campionato di Eccellenza 2015/16 presso l’impianto sportivo di Mogliano o di Preganziol, in base alla compilazione dei calendari. Le partite del Settore Giovanile si giocheranno presso lo Stadio Comunale di Via Ferretto, il Campo Secondario di Mogliano e presso lo Stadio di Preganziol». Il Mestre, dunque, rinnovato nella squadra, nel seguito e nella promozione tra i professionisti, potrebbe strappare un vasto pubblico di coloro i quali, dalla terraferma, si recano al Penzo per andare a vedere il Venezia. Mi si obietterà ma si tratta di tifosi occasionali. A costoro rispondo che sì, è ben vero. Pur tuttavia, quali sono i gruppi che si sono tesserati per seguire il Venezia? Pochi, decisamente pochissimi. Anzi, quando la precedente dirigenza licenziò mister Sassarini (Serie D), in un Venezia lanciato per la promozione, lo stadio era il triplo più pieno della declamata (e pubblicizzata) festa promozione di qualche giorno fa. 
Dunque la dirigenza arancioneroverde ha, di fronte a sé, ben tre gatte da pelare e almeno una delle due, quella legata allo stadio, potrebbe far desistere l'investitore americano che ha investito sulla squadra di «una cità mportanti nel mondo». La preoccupazione del calcio moderno, infatti, è quella di cercare di stringere il cappio del capitale attorno al già martoriato corpo esanime del movimento calcistico italiano. Si elogia, infatti, da più parti il modello Sassuolo, tuttavia non è altro che uno svago della Confindustria: il proprietario della squadra è Giorgio Squinzi; lo stadio è il Mapei Stadium (Squinzi anche qui) andando di fatto a costruire un nuovo stadio in un'altra città (Reggio Emilia) facendo in modo che la squadra si inventasse una tradizione calcistica (hobsbawnianamente parlando) acuendo non poco gli scontri già presenti fra Reggiana e Sassuolo.
Cos'ha di così genuino il modello Sassuolo? Proprio nulla.

Ecco perché, nel breve o nel lungo termine non è dato sapere, il Venezia arancioneroverde si ritroverà con diverse grane da risolvere e con un futuro pressoché incerto, sic stantibus rebus.

Per tutto il resto c'è il Venezia 1907.


p.s. Ultimamente, quando mi ritrovo con qualcuno a parlare del più e del meno, in questi discorsi ci finisce di mezzo - come al solito - anche il calcio. Frasi fatte, mezze parole e quel "ma tu tifi ancora il Venezia?". Certo, dico io, diventando subito serissimo. "Solo che non tifo il Venezia di Tacopina, mi sono appassionato alle vicende del Venezia 1907".  E lì a mettermi a spiegare tutta una serie di cose. 
Sono un po' un rompiscatole, lo ammetto.


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